
Arte da brivido: 10 opere per la notte di Halloween15 minuti di lettura
La notte di Halloween si avvicina, e se solitamente si consigliano grandi pellicole horror da vedere durante la Notte delle Streghe, noi vogliamo raccontarvi 10 opere d’arte oscure e tenebrose, atte a terrorizzare chiunque posi gli occhi sulla tela. Una vera carrellata di visioni da incubo per entrare nella giusta atmosfera!
Saturno divora un figlio – Francisco Goya

Francisco Goya (1746-1828), pittore spagnolo, nell’opera Saturno divora un figlio (1820-23) mette in scena il mito con un’immagine cruda e raccapricciante. Secondo la storia mitologica, infatti, Saturno iniziò a divorare tutti i figli che sua moglie partoriva per paura che, un giorno, uno di loro avrebbe potuto privarlo del suo trono.
Nell’opera, il dio addenta il corpo di uno dei figli con una ferocia animalesca e, nel frattempo, rigoli di sangue scorrono sul cadevere del piccolo. Il corpo è ormai privo di testa ed un braccio si trova nella bocca del padre. Un contrasto di colori domina il dipinto: Saturno è rappresentato con l’ocra e il marrone, mentre l’unico colore acceso è il rosso del sangue. La scena è avvolta da un’oscurità che incute terrore, suggerendo il dramma e l’irrazionalità del mito.
Goya dipinse quest’opera, insieme alle altre del ciclo Pitture Nere, per le pareti di casa sua vicino a Madrid.
Irene Rivolta
Testa di scheletro con una sigaretta accesa – Vincent van Gogh

Il dipinto Testa di uno scheletro con una sigaretta accesa risale al periodo che Vincent van Gogh trascorse ad Anversa, dove frequentò l’Accademia d’Arte della città. Qui ebbe la possibilità di studiare l’anatomia e confrontarsi con le figure umane tra cui appunto gli scheletri. Il periodo di Anversa non fu particolarmente sereno, van Gogh accusava malori fisici e non era molto contento degli studi che conduceva in Accademia definiti da lui stesso noiosi ed inutili. L’opera è stata dipinta probabilmente nell’inverno del 1886 e conservata dal fratello Theo dopo la morte dell’autore per essere poi acquistata dalla Van Gogh Foundation e quindi dal Van Gogh Museum di Amsterdam, dove si trova tutt’ora.
Il quadro risulta molto eloquente e suggestivo, capace di catturare l’attenzione nonostante la semplicità del soggetto. Soprattutto i colori scuri e spenti creano un’atmosfera cupa e macabra, che interroga lo spetatore e richiama alla memoria una tematica precisa: la morte.
Non solo lo scheletro ma anche la sigaretta che viene consumata dalla combustione pongono la morte come protagonista sotto varie rappresentazioni. Possiamo intenderlo come un memento mori e quasi un’auto accusa: il soggetto si procura una morte lenta ma certa. Si tratta di un tema piuttosto ricorrente nelle opere di Van Gogh, probabilmente legato alle sue condizioni di salute anche se in questo caso non è ben chiaro se il dipinto fosse il sussurro ipocondriaco della sua coscienza o l’urlo sfacciato dell’autore, che sfida la sua stessa morte.
Maura Vindigni
Le spaventose statue del tempio di Wat Rong Khun

Wat Rong Khung, conosciuto anche come Tempio Bianco, sono state realizzate dall’artista visionario Chalermchai Kositpipat. Egli iniziò il lavoro nel 1997 e la fine è stimata intorno al 2070.
Il tempio si trova in Thailandia ed è per metà induista e metà buddhista, è realizzato in gesso bianco, simbolo di purezza, che cozza inevitabilmente con il tema grottesco delle statue. Oltre al gesso l’artista ha utilizzato il vetro che, riflettendo i raggi del sole, crea dei magnifici giochi di luce.
All’interno del tempio si possono ammirare diverse figure che rappresentano la lotta tra bene e male. Esse non sono una semplice reinterpretazione delle figure religiose protagoniste delle parabole, ma una contaminazione con il mondo contemporaneo. Compaiono, per esempio, personaggi di film e cartoni animati come Spiderman, Superman, Kung Fu Panda, Doreimon, Neo di Matrix, Elvis e Michael Jackson.
L’effetto un po’ kitsch che questo miscuglio crea è ambivalente: da una parte rassicurante per le figure riconoscibili che vi si trovano, dall’altra ancora più angosciante, poiché proprio per questa familiarità il monito della malvagità che avvelena la vita fa ancora più presa.
Claudia Caletti
Screaming Pope – Francis Bacon

L’intero lavoro di Francis Bacon è ammantato dall’etichetta di “maledetto”, secondo il significato più romantico del termine. Alcolizzato, nevrotico e dichiaratamente omosessuale, l’artista irlandese corrisponde al perfetto cliché dell’artista dannato, rafforzando il senso di inquietudine che trasmettono le sue opere. Autore di quasi 600 dipinti (senza contare quelli distrutti da lui stesso), Bacon si focalizza sulla visione più cruda della realtà, deformando e sminuzzando la figura umana in un lavoro di analisi che ha dell’ossessivo, come nella serie degli Screaming Pope.
Si tratta di 45 dipinti realizzati a partire dal 1949 per tutto l’arco degli anni Cinquanta, che hanno come soggetto il Ritratto di Innocenzo X, dipinto da Diego Velázquez nel 1650. Francis Bacon vide il dipinto per la prima volta riprodotto su un giornale, restando folgorato dall’intensità dell’opera, arrivando a definirlo “uno dei più grandi ritratti mai realizzati“. Nonostante la sua ossessione per l’opera si rifiutò sempre di vederlo dal vivo, in quanto spaventato dal rischio di rimanerne deluso.
Le diverse versioni del dipinto si concentrano sul viso del pontefice, deformato da un urlo muto, espressione dell’angoscia e della più profonda paura umana. Le prime versioni stringono sul dettaglio del volto, annullandone quasi totalmente i connotati per focalizzare tutta l’attenzione sulla bocca spalancata su un buco nero di orrore. La versione più celebre, quella del 1953 conservata a New York è forse la più forte nell’esprimere la disperazione dell’uomo ritratto.
Qui il dipinto è ripreso nelle sue dimensioni originali, includendo quindi tutto il corpo di Innocenzo X. La figura emerge da un fondale scuro che sembra inghiottirlo, la bocca spalancata al massimo in quell’urlo straziante che esprime tutta la sofferenza di un uomo prigioniero di sè stesso. Le mani si aggrappano ai braccioli del trono dorato, che sembra imprigionare l’uomo in una trappola. A rimarcare questo distacco le violente pennellate verticali che attraversano il dipinto, come le sbarre di una gabbia, che dividono il pontefice dal resto del mondo. Il viso del papa è deformato, i lineamenti quasi assenti, se non per quel grido immenso, che porta in sé tutte le angosce dell’essere umano, prigioniero dei costrutti sociali, del proprio ruolo nel mondo.
Beatrice Curti
Volto della Guerra – Salvador Dalí

Una gigantesca testa mozzata, circondata da serpenti pronti a mordere, che si regge in piedi da sola in un paesaggio deserto. Nell’espressione, un urlo di terrore, eternamente bloccato nel momento della morte. L’interno della bocca e delle orbite vuote è occupato da tante teste scheletriche, anch’esse mozzate e similmente congelate nel dolore. Nelle loro bocche e orbite, altrettante teste. Un ciclo infinito di disperazione. Come nella sezione di un frattale, o in un’illusione ottica infernale, il dipinto sembra così aprire un varco sull’eternità.
È una visione agghiacciante, in grado di trasmettere un profondo senso di disagio in chi osa posarvi lo sguardo. Dipinto tra la fine della Guerra civile spagnola (1936) e l’inizio della Seconda guerra mondiale (1939), Volto della Guerra è un’opera oggi più che mai attuale. Il maestro del Surrealismo racchiude in questa tela l’insensatezza e l’orrore della guerra, che annulla tutto col suo passaggio. Divorato, deturpato dalle sue atrocità, chi ne viene toccato non può far altro che rassegnarsi al suo abominio e unirsi al coro di anime in pena, che invocano a gran voce una salvezza che arriverà troppo tardi.
Massimo Vispo
L’incubo – Johann Heinrich Füssli

Una carriera ecclesiastica imposta, la passione per il mondo letterario e figurativo, le letture di Dante e Milton e, ancora, gli studi sull’inconscio di Freud. Non è un caso se quella di Füssli sia una pittura simbolica e fantasiosa, con un’iconografia onirica che lascia lo spettatore senza fiato ad ammirarne ogni singolo particolare, scovando significati nascosti.
L’incubo è un’opera del 1781 e il titolo ci aiuta a capire come Füssli, unendo il folklore con i suoi studi sulle fiabe e la mitologia germanica, ricrea un vero e proprio sogno lucido, in cui erotismo e orrore si fondono e creano un’atmosfera surreale.
Esistono più versioni di quest’opera, tuttavia ci ritroviamo sempre davanti al medesimo schema: una giovane distesa in posizione supina e scomposta, con un piccolo demone poggiato sul suo petto che osserva lo spettatore e sullo sfondo, tra le tende rosse drappeggiate, affiora il volto di una giumenta priva di pupille.
Non è di certo un sonno tranquillo quello che l’artista ha voluto raffigurare nella sua celebre opera e uno degli aspetti più evidenti è il chiaroscuro di cui fa uso e che risalta la donna in primo piano, con una veste da notte candida e la pelle pallida e brillante sinonimo di purezza o forse di morte, in contrasto con i colori caldi e scuri dello sfondo e dei due soggetti più macabri che disturbano il suo sonno. Il demone che pesa sul petto della donna, probabilmente in preda a una paralisi e un’apnea notturna, e l’espressione vacua della giumenta lasciano anche lo spettatore senza fiato, mentre si ammira uno splendido esempio di romanticismo gotico e demoniaco.
Füssli era realmente – come amava definirsi – “il pittore ufficiale del diavolo”?
Fabiola Miccoli
Testa di Medusa – Peter Paul Rubens

Il celebre pittore fiammingo Peter Paul Rubens era affascinato dal mito di Perseo, autore della decapitazione di Medusa, tema di questo inquietante dipinto degli inizi del XVII secolo. Qui, la raffigurazione del capo reciso della gorgone, macabra e terrificante, provoca nello spettatore sentimenti di angoscia e disgusto.
Il capo giace su di una roccia pressoché brulla, circondato da serpenti e altri rettili, due ragni e uno scorpione. L’ambientazione che ospita il soggetto è un paesaggio tetro sovrastato da nubi cupe. Nel volto di Medusa si legge un’espressione di puro terrore: le sopracciglia scure si inarcano su un volto pallido il cui sguardo turbato è rivolto verso il basso, gli occhi iniettati di sangue; le labbra grigiastre, leggermente aperte, lasciano intravedere i denti. Il pallore del viso contrasta con il rosso vivo del sangue che sgorga a fiotti sul suolo sottostante e con i toni giallo-verdi usati per realizzare gli inquietanti animali che popolano la scena.
Tutt’intorno al volto si agita un groviglio di serpenti, alcuni dei quali si dimenano nel tentativo di divincolarsi. Proprio per la realizzazione dei serpenti, Rubens si avvalse della collaborazione dell’artista Frans Snyders. Inoltre, si ipotizza che il pittore potesse essere venuto in contatto con l’opera di Caravaggio ritraente lo stesso soggetto durante il suo viaggio a Firenze nel 1600.
L’impatto visivo del dipinto, custodito presso il Kunsthistorisches Musem di Vienna, è notevole: a metà tra l’affascinato e il terrificato, lo spettatore non può che apprezzare la maestria con la quale il pittore barocco racchiude nella sua tela l’essenza dell’orrore e della disperazione nella sua forma più esasperata.
Marta Immorlano
The Ghost of Oiwa – Katsushika Hokusai

The Ghost of Oiwa è una stampa xilografica realizzata nel 1831 dal grande maestro Katsushika Hokusai e attualmente conservata al Minneapolis Institute of Art. L’opera si ispira alla popolarissima leggenda Yotsuya Kaidan, risalente al periodo Edo e destinata a divenire una delle storie folkloristiche giapponesi più celebri di tutti i tempi. Il racconto narra la vicenda di Oiwa, che tradita dall’infedele marito Iemon, perseguiterà quest’ultimo una volta divenuta fantasma.
Nell’immagine la donna assume le sembianze di una lanterna, da cui sporgono due occhi iniettati di sangue e colmi del desiderio di vendetta. L’apertura della lucerna ricorda una bocca sdentata e minacciosamente spalancata, in parte coperta dai capelli che le conferiscono un aspetto meno angosciante e più umano. Infine, i colori spenti e opachi dello sfondo evidenziano l’inquietante pallore della creatura.
Rayana Angioletti
The Hands Resist Him – Bill Stoneham

E’ uno dei primi quadri a entrare nella leggenda del web. Qualsiasi internauta almeno una volta nella vita si è imbattuto in questo dipinto. Siamo nel febbraio del 2000. Superato lo spauracchio “bruco del millennio” il popolo di internet continua a navigare esplorando l’universo della rete. Chi cerca qualche oggetto particolare va diretto verso ebay, nato da pochi anni.
Proprio in quei giorni alla voce “opere d’arte” appare un dipinto inquietante: a un primo sguardo si vedono due bambini sull’uscio di una porta. Una bambina con uno strano oggetto tra le mani e un bambino con espressione seria. Ma osservandolo meglio si scoprono dettagli alquanto sinistri: lei in realtà è una bambola e, dalla porta – finestra alle loro spalle, delle piccole mani cercano di uscire (o entrare), forse per raggiungere il bambino. Titolo del dipinto The Hands Resist Him, autore Bill Stoneham. Inquietante, vero? Ma la storia dietro il quadro non è da meno.
Gli inserzionisti sono una coppia californiana che ha ritrovato l’oggetto in una vecchia fabbrica. Portato a casa e appeso a una parete il quadro comincia a fare uno strano effetto sulla famiglia. I proprietari raccontano di improvvise correnti d’aria fredda in casa, i personaggi che sembravano muoversi e, addirittura, uscire e girare indisturbati. A chiusura dell’inserzione, una clausola che liberava da ogni responsabilità i proprietari qualora fossero capitati eventi dannosi. La storia, ovviamente, fa il giro della rete, facendo nascere leggende e creando dibattiti su vari forum. Dopo un iniziale offerta di 199 dollari a vincere l’asta, per 1.025 dollari, è la Perception Galery, una galleria d’arte di Grand Rapids, Michigan. Acquistata l’opera, viene contattato l’autore, Bill Stoneham.
L’artista afferma che il quadro è del 1972, dapprima esposto in una galleria di Los Angeles e ben recensito da un critico del Los Angeles Times e successivamente acquistato dall’attore John Marley, il Jack Woltz de Il Padrino (ricordate la testa di cavallo nel letto?). Ah, e l’oggetto tra le mani della bambola? Non è una pistola, afferma Stoneham, ma la sua batteria. Il bambino, poi, sarebbe una rappresentazione dello stesso autore, riprendendo una sua foto da piccolo. Nel corso degli anni Stoneham ha dipinto su commissione due sequel dell’originale, Resistance at the Threshold e Threshold of Revelation più un prequel, The Hands Reveal Him, tutti su commissione. Insomma, il “quadro maledetto di ebay” rimane una delle opere più cupe degli ultimi decenni.
Luigi Maffei
Spirito – George Roux

Nel cuore della notte un uomo viene svegliato da un suono insolito: le dolci note del pianoforte di casa rieccheggiano per le stanze. Nessuno lo aveva più toccato dalla morte della sua amata, che così tante ore passava a suonarlo, deliziando gli ospiti che animavano la loro dimora.
L’uomo scende nello studio e non può credere a ciò che vede: seduta al pianoforte c’è proprio lei, vestita nello splendido abito da sera che tanto amava, che le scopre le spalle e le stringe la vita, proprio come esige la moda parigina del 1885. La figura è talmente luminosa da permettere allo spettatore di intuire l’arredamento della stanza buia, rendendo quasi inutile la lampada da tavolo accesa dall’uomo, ancora appoggiato alla scrivania, il volto stupefatto dalla visione.
La sua amata sembra reale, presente, mentre con le dita delicate sfiora i tasti del pianoforte. A tradire la sua natura ultraterrena il pallore spettrale e la sua evanescenza, che ci permette di vederele attraverso.
Il dipinto dell’artista francese George Roux racconta questa e altre mille storie, regalandosi alle più fantasiose interpretazioni. Lo scenario, tipico dell’horror gotico di epoca vittoriana, è reso magistralmente dal gioco dei chiaroscuri, usando come fonte di luce proprio l’apparizione, che seduta al pianoforte suona tranquillamente, mentre l’uomo nella stanza la osserva sconvolto.
Giacomo Curti

